Jurgen Appelo definiva, alcuni anni fa, i lavoratori di oggi come Creative Workers: persone la cui più importante inclinazione è di apprendere continuamente ed usare la propria creatività per trovare soluzioni ai problemi complessi che si trovano ad affrontare negli ambienti lavorativi. Questo concetto supera, estende ed innova quello di Knowledge Workers espresso da Peter Drucker nel suo libro “The Effective Executive”, in almeno due aspetti. I Creative Workers devono sviluppare capacità di continuo apprendimento; il mondo di oggi, mutando incessantemente, esige un rinnovamento costante della propria conoscenza. Inoltre, in contesti superfluidi, è necessario che quelle persone posseggano attitudini marcate alla sperimentazione empirica e quotidiana. Per aiutare a comprendere il tipo di stimolo cui quelle persone sono sottoposte, nei miei interventi cito spesso il “morphing” come metafora per rappresentare il tipo di transizione continua, dallo stato corrente a quello successivo e al prossimo ancora, che qualsiasi organizzazione deve oggi saper affrontare per stare proficuamente sul mercato. Un esercizio ininterrotto di rimodulazione delle proprie strutture, competenze e cultura, al fine di rilasciare ed estrarre valore dai contesti di riferimento, prescindendo da qualsiasi discontinuità di mercato. Le capacità di cambiare spesso e velocemente sono quindi fondamentali. I pionieri del Change Management ci insegnano che nessuna trasformazione può avvenire con successo senza il supporto di adeguate campagne di comunicazione, e che trascurare l’ingaggio costante delle persone, volto a creare un efficace e fattivo desiderio di cambiare, porta inevitabilmente a ritardi, malintesi e tensioni che potrebbero rivelarsi fatali. Tutte le ricerche effettuate in questo campo stimano che le aziende impegnate in grossi cambiamenti, comunicano mediamente fino a dieci volte meno di quanto effettivamente fanno in situazioni del genere. Informazioni relative a visione, missione, obiettivi, iniziative, risultati, roadmap, team coinvolti, vanno divulgati periodicamente, attraverso mezzi, canali, modalità e speaker differenti. I framework di gestione del cambiamento pongono inoltre un accento su strumenti come la formazione, per l’acquisizione della conoscenza, e sul coaching come catalizzatore per trasformare quella stessa conoscenza in competenza da agire sul campo. L’importanza dei concetti sopra esposti si fa ancor più pressante quando un’azienda vuole intraprendere il viaggio verso la Business Agility. Tali trasformazioni hanno come obiettivo primario una metamorfosi organizzativa che mira a cambiare radicalmente il modo in cui le organizzazioni sviluppano prodotto, ascoltano e si propongono al mercato, si strutturano internamente, valutano i risultati delle persone, gestiscono i loro budget, prendono decisioni, interpretano leadership e management e operano nel quotidiano per la produzione di valore. È superfluo sottolineare che, qualsiasi trasformazione si voglia intraprendere oggi, per la sua esecuzione, debbano essere utilizzati approcci empirici, iterativi e incrementali…. in una parola “agili”. Si parlerà quindi di MVC (Minimum Viable Change), di esperimenti da preparare, eseguire e analizzare nei risultati, di “Change Sprint”, di approcci derivati da Lean Startup in cui non esistono piani di attività certi che possano durare più di due settimane (lunghezza standard di uno sprint), bensì di roadmap “rolling-wave” dove riportare gli obiettivi nel tempo che si vogliono traguardare, e le cui modalità e azioni per raggiungerli vengono decise sul campo e rivalutate costantemente. Quando lavoro a tali iniziative, più che al piano mi piace concentrarmi sull’architettura, l’impalcatura, che è necessario costruire a sostegno del programma di cambiamento pensandola opportunamente per favorire la nascita e lo sviluppo emergente di nuove componenti, comportamenti e proprietà del sistema su cui si sta operando. Anche in questo caso ci viene in aiuto una metafora: le impalcature (scaffolding). Il primo esempio che si affaccia alla nostra mente sono quelle strutture temporanee di metallo che solitamente vengano erette esternamente ad un edificio e che permettono ad architetti, geometri e operai di agire e lavorare per permetterne la costruzione. L’esempio però più pertinente con l’argomento che stiamo trattando sono le impalcature utilizzate in biomedicina. Queste nano-strutture sono composte da fibre polimeriche di dimensioni ridottissime (nanometri 109 m) solitamente composte da elementi esagonali uniti tra loro che vengono impiantati all’interno del corpo del paziente, nella zona che è necessario curare o sviluppare (es. cuore, ossa, epidermide). Una volta impiantate, le cellule, crescendo, aderiranno e pervaderanno la struttura. Ne prenderanno la forma e, di fatto, il processo di sviluppo verrà accelerato e influenzato attivamente secondo determinate direzioni e modalità. Nel tempo quelle impalcature biologiche verranno completamente assorbite dal corpo e in alcuni casi andranno a dissolversi completamente. Ecco, questo è quello che dovrebbe ispirare ogni nostro intervento quando si tratta di favorire un cambiamento trasformativo importante: creare la minima struttura possibile in grado di far emergere in maniera naturale comportamenti e attitudini emergenti che, nel tempo, diverranno le nuove abitudini e cultura di riferimento. I principi dell’Agile Manifesto possiamo considerarli un ottimo esempio di impalcatura capace di ispirare e condizionare le scelte e le azioni da intraprendere durante il viaggio trasformativo, senza alcuna prescrizione specifica. La formazione, disegnata però in accordo all’attuale maturità ed esperienza dell’organizzazione in esame, è anch’essa in grado di creare un’impalcatura cognitiva cui fare affidamento per sviluppare i nuovi comportamenti attesi. Lo storytelling dei leader è un altro strumento molto potente che può, per esempio, essere utilizzato per divulgare la visione trasformativa. Esso può essere considerato come un attrattore attorno al quale opinioni, idee, azioni e comportamenti di tutta un’organizzazione si possono polarizzare, favorendo e accelerando il processo di cambiamento nella sua interezza. Mentoring e coaching sono anch’essi molto efficaci facendo leva, nel primo caso, sull’esperienza per indirizzare determinati interventi in momenti particolarmente difficili e, nel secondo, come supporto allo sviluppo autonomo ed emergente delle nuove competenze richieste nell’avventura trasformativa. Sebbene utilissimi, i mezzi sopra esposti però non sempre sono sufficienti. Ci sono momenti in una trasformazione in cui è necessario far circolare e condividere il maggior numero di informazioni possibili. O ancora, situazioni in cui mettere a fattor comune l’esperienza e la conoscenza di un alto numero di persone serve a identificare soluzioni a problemi difficilmente indirizzabili in maniera verticistica, centralizzata. Questo è il campo di applicazione di una tecnologia eccezionale: Open Space Technology (OST). OST è una metodologia di lavoro che permette, all’interno di qualsiasi tipo di organizzazione, di creare gruppi di lavoro che si autoorganizzano in workshop ed eventi particolarmente ispirati e produttivi e che fanno leva su passione ed interesse comuni per ricercare soluzioni basate sull’esperienza dei singoli individui. In conclusione, credo che chiunque di noi si trovi a supportare iniziative di cambiamento come quelle accennate in questo articolo, debba innanzitutto far leva su buone doti di ascolto, da un lato, e comunicative dall’altro. Considerata l’alta incertezza di tali iniziative, è d’obbligo eseguire quelle trasformazioni attraverso approcci Agile e, ancor più importante, munirsi delle giuste impalcature per favorire lo sviluppo organico della nuova identità organizzativa.